12 gennaio 1944. L’ultimo volo di guerra

La battaglia di Cassino della seconda guerra mondiale è in pieno svolgimento. Il 15 febbraio 1944 l’abbazia di Montecassino sarebbe stata distrutta; il 18 maggio 1944 sulle sue rovine si sarebbe vista sventolare  la bandiera polacca ad annunciare la vittoria e la fine della battaglia di Montecassino; il 28 maggio 1944 le truppe canadesi sarebbero entrate a Ceprano, liberandola definitivamente dalla morsa dei nazifascisti. Il prossimo 28 maggio 2024 saranno dunque 80 anni da quei tragici giorni e così decidiamo che questo blog debba rendere omaggio ancora una volta a quanti hanno sacrificato la loro vita per la giusta causa, per tutti noi. In precedenti articoli abbiamo rivolto la nostra attenzione ai civili e ai militari morti a Ceprano durante l’ultima fase della WWII, con i contributi di Rocco Cassandri e Francesco Arcese. Oggi ospitiamo con vero piacere il risultato delle ricerche di un gruppo di appassionati, tra i quali torna a trovarci Francesco Arcese per proporci la storia dell’ultimo volo su queste nostre terre di un B25C Mitchell delle forze aeree alleate, del suo pilota Frederick W. Vincent III e dell’intero equipaggio: dove erano diretti? quali erano gli obiettivi? dove precipitò in fiamme? in quanti si salvarono?

Con Francesco Arcese ripercorreremo l’ultimo volo, per l’occasione con l’eccezionale compagnia della figlia di Frederick W. Vincent III, signora Victoria Howland, accompagnata dal marito Dulany, ospiti qualche mese fa presso lo studio-museo di Francesco Arcese in Ceprano (FR), sede dell’Associazione culturale Historia, Storia & Militaria, insieme alla guida turistica Anna Maria Priora e al ricercatore storico Diego Cancelli.

Aldo Cagnacci

Ceprano, 18 maggio 2024


L’ULTIMO VOLO DI GUERRA

 del secondo tenente pilota Frederick W. Vincent III

di Francesco Arcese

PROLOGO

Il 12 gennaio 1944 ai B25C Mitchell del 321st Bomb Group, 447th Bomb Squadron, venne assegnato quale obiettivo ‘dell’ultimo minuto’ il bombardamento della diga di Isoletta, presso il paese di San Giovanni Incarico, nella valle del Liri; diciotto aerei caricarono 54 ordigni da 1000 libre e alle ore 12,45 decollarono verso l’obiettivo che venne raggiunto alle 14,00 circa, volando ad una quota media di 10.000/10.500 piedi (circa 3.100 metri). Le bombe sganciate non colpirono la diga ma l’area esterna alla stessa, forse il ponte antistante, e gli aerei intrapresero la rotta per il ritorno seguiti da una contraerea intensa e accurata che, dopo un minuto circa dallo sgancio, centrò il B25C 41-13210 Buckeye Cannon Ball pilotato dal secondo tenente Frederick W. Vincent III. Il velivolo ricevette il colpo in prossimità del motore destro che iniziò a fumare ma che, dopo una secca esplosione, andava in fiamme decretando la fine dell’aereo. Due paracadute furono visti aprirsi dopo l’abbandono del B25 Mitchell da parte di alcuni membri dell’equipaggio, poi un terzo. Il veicolo, senza più controllo, iniziava a questo punto la picchiata verso terra dove esplose in un campo in prossimità dei monti che dominano la valle del fiume Liri, a pochi chilometri da Cassino.

Una formazione di B25 Mitchell del 321° Gruppo da bombardamento 447° Bomb Squadron in volo sul Mediterraneo durante una missione verso l’entroterra laziale

Mentre il pilota scendeva con il paracadute, poté notare un convulso movimento a terra di uomini che accorrevano in prossimità del punto in cui avrebbe toccato terra: erano centinaia di soldati tedeschi che volevano avere il privilegio della sua cattura, oltre che prelevare qualche ambìto souvenir. Al suo fianco prendevano terra anche due altri membri dell’equipaggio, il co-pilota primo tenente John H. Haeberle ed il bombardiere staff sergent Willie P. Franklin (quest’ultimo rimase prigioniero per soli 16 giorni e riusciva a scappare e tornare nelle linee amiche durante il viaggio di trasferimento in un campo di prigionia in Germania, quando il treno venne attaccato da caccia alleati). Purtroppo gli altri quattro membri dell’equipaggio erano rimasti bloccati all’interno degli angusti spazi delle loro postazioni e non erano riusciti ad abbandonare il veicolo danneggiato, precipitando a terra dentro lo stesso. Questi i loro nomi: staff sergent Donald A. Davis, operatore radio e mitragliere; staff sergent William M. O’Loughlin, armiere; staff sergent Harold F. Schrader, mitragliere torretta superiore; sergente Leo P. Hassett, fotografo.

LA RICERCA

La verifica delle informazioni pervenuteci attraverso il MACR (Missing Air Crew Reports) redatto dopo l’abbattimento dell’aereo e di quanto pubblicato sul sito dell’Associazione  ‘12th Air Force, 57th Bombardment Wing, 321st Bombardment Group – 1944 Historical Chronology 321st BG’ per il periodo gennaio 1944, ci ha permesso di individuare, dopo accurate verifiche e alcune evidenti contraddizioni, il corretto crash point del B25 riportato alle coordinate 41° 32’N, 13° 52’E. Precedenti indagini effettuate da altri studiosi, avevano individuato nel centro di Sant’Elia Fiumerapido (un paesino posto a pochi chilometri a nord di Cassino) il punto di caduta, ma l’accurata ricostruzione effettuata con l’ausilio delle conoscenze e degli approfondimenti sviluppati nel tempo dagli amici Agostino Alberti e Aldo Villagrossi[1], ci hanno permesso di ricostruire correttamente la vicenda dello sfortunato Buckeye Cannon Ball  e del suo pilota secondo tenente Frederick W. Vincent III.

LA STORIA DI QUEL 12 GENNAIO 1944

Richiesto all’ultimo minuto dal Quartier Generale del 321° Gruppo da bombardamento, lo ‘speciale’ obiettivo della 186^ missione è la diga di Isoletta nei pressi di Ceprano. Su di essa convergono diciotto B25 Mitchell del 446°, 447° e 448° Bomb Squadron provenienti dall’aeroporto di Amendola, a quell’epoca il più grande aeroporto d’Europa, che alle 12,45 circa, sganciano da 10500 piedi il loro carico di 54 ordigni da 1000 libbre. Leaders della formazione sono il capitano Elwood H. Beeson ed il tenente David W. Thomas che così raccontano la missione:

Le esplosioni degli ordigni furono viste su tutti i lati dell’obiettivo, ma nessuna sulla diga, due colpi con ogni probabilità colpirono il ponte subito a sud della diga, mentre altri centrarono la strada di ingresso al ponte e l’incrocio ad un quarto di miglio ad ovest della diga. Il fuoco contraereo era intenso, preciso e pesante, tanto da disturbare la formazione al momento del lancio, rendendo così difficile il puntamento. Vedemmo un caccia Spitfire della nostra scorta, esplodere nel cielo non appena centrato da un preciso colpo della flak. Al momento della virata, uno dei nostri aerei fu colpito dopo essersi allontanato da un minuto dall’obiettivo, e precipitò a terra in fiamme. Era quello del tenente Fred Vincent del 447° Squadrone e prima della caduta vedemmo due soli paracadute aprirsi, ma non capimmo da quale parte dell’aereo si fossero buttati“.

Da un estratto del Missing Air Crew Report[2] n.1837 del 447° Bomb Squadron, si viene a conoscenza dello svolgimento di quella azione ed in particolare di quanto accadde all’equipaggio del B25 numero 41-13210 Buckeye Cannon Ball abbattuto quel 12 gennaio:

“L’intensità e la precisione della contraerea causò la ‘rottura’ della formazione e il risultato del bombardamento, rilevato dalle foto scattate, fu modesto o scarso. La copertura fotografica totale dell’area fu incompleta in assenza degli scatti effettuati da bordo del terzo veicolo pilotato dal tenente Vincent, colpito ed abbattuto. Il tenente E.D. Langston che era nella stessa formazione del tenente Vincent, aveva dalla sua posizione un’ottima vista dell’aereo davanti al suo allorquando fu colpito. Egli riportò che parti della coda del veicolo si staccarono quando esso iniziò ad andare giù e osservò solo due paracadute aprirsi, ma senza capire da quale parte dell’aereo vennero fuori. L’aereo del tenente Vincent si era allontanato dall’obiettivo da circa uno-due minuti quando fu colpito, era la seconda perdita per lo Squadrone nel primo mese del 1944”. Un aggiornamento successivo del MACR, a seguito della testimonianza del sergente Arthur Schartz, mitragliere di codadel veicolo numero 42-53371 Death Wind, che volava davanti al B25 del tenente Vincent, fornisce ulteriori precisazioni:

“Il 12 gennaio 1944 volavo come mitragliere di coda nel veicolo pilotato dal tenente Anderson, eravamo l’aereo numero 3, secondo elemento della seconda linea di volo, il tenente Vincent era il pilota del B25 che occupava la seconda posizione, primo elemento della stessa linea. Non riuscii a vedere l’aereo prendere colpi, andare a fuoco o esplodere perché ero sdraiato nella coda ed era impossibile da lì osservarlo, ma quando entrò in vite iniziando a precipitare girai la testa verso di esso e osservai quattro paracadute aprirsi e poi dondolare normalmente”.

Più precisa la versione fornita dal sergente Ernest F. Bartkus, radio operatore e mitragliere del B25 numero 41-30538 che avanzava di poco quello di Vincent:

“Immediatamente dopo aver sganciato le nostre bombe e aver fatto una leggera azione evasiva, mi accingevo a lasciare la postazione di mitragliere quando vidi l’aereo del tenente Vincent in fiamme. Il fuoco era concentrato sulla parte di sinistra circa dove inizia il vano bombe, immediatamente dopo osservai un’esplosione nel locale che bruciava, l’aereo cabrò per un istante e quindi puntò giù il muso scomparendo dalla nostra vista”.

L’intero equipaggio del Mitchell fu dato MIA (Missing in Action) fino al 25 giugno del 1944, quando il sergente mitragliere-bombardiere Willie P. Franklin, evaso dal campo di prigionia dove era stato rinchiuso, raccontò la sua versione vissuta in diretta nell’aereo colpito:

“Il nostro B25 fu colpito da un intenso fuoco contraereo, tanto che io e il pilota siamo stati scaraventati fuori dal veicolo da un’esplosione e il Mitchell iniziò a bruciare avvolto dalle fiamme. Vidi il paracadute di Vincent solo durante la mia discesa e osservai con orrore l’aereo che precipitava ed esplodeva a terra. Erano rimasti uccisi, chiuso nella sua torretta di coda il mitragliere sergente William M. O’Loughlin, il radio operatore mitragliere Donovan A. Davis, l’altro mitragliere Harold F. Schrader e il fotografo Leo P. Hassett. Miracolosamente anche il co-pilota John H. Haeberle si era salvato saltando dall’aereo poco prima che entrasse in vite”.

 I tedeschi, che avevano catturato il pilota (Frederick W. Vincent), comunicarono agli americani che, essendo lo stesso gravemente ferito, era stato immediatamente recuperato e trasportato d’urgenza presso un loro ospedale. Il compito più gravoso, l’ultimo atto di quella tragedia che si consumò nei cieli ai margini della nostra città, fu assolto dal pilota alla sua liberazione: scrisse a tutte le famiglie dei suoi uomini, ma solo quella del fotografo Hassett gli rispose. Nell’ICQ – Individual Casualty Questionnaire redatto per descrivere i motivi e le circostanze delle perdite, così venne riassunto l’orrore dell’incidente che aveva coinvolto il B25 Mitchell al comando di Frederick W. Vincent:

“È impossibile dare esatti dettagli circa tutti i membri dell’equipaggio. L’aereo fu colpito direttamente al centro dalla flak tedesca, andò a fuoco ed esplose in aria. Tutti noi posti davanti al veicolo, Franklin il bombardiere, Haerberle co-pilota e io stesso, siamo tutti vivi. Uno degli uomini sistemato verso la coda, probabilmente Davis o Hassett (era più facile per loro mettersi in salvo) saltò giù e io vidi il suo paracadute iniziare a bruciare e precipitare giù. L’altro si lanciò con successo con il paracadute, ma morì a terra vicino il mio co-pilota, straziato dalle schegge. Ho presunto che quest’ultimo potesse essere Hassett, poiché i suoi familiari scrissero che avevano trovato la sua sepoltura in Italia. Harold F. Schrader (il mitragliere nella torretta dorsale dell’aereo) penso che sia venuto giù con l’aereo poiché era difficile uscire dalla torretta superiore nella quale operava. William M. O’Loughlin, anch’egli presumo sia precipitato con l’aereo poiché la coda del B25 è troppo stretta per muoversi al suo interno”. 

QUANDO IL PASSATO RITORNA

È difficile comprendere come sia possibile che a distanza di 80 anni due persone che vivono in due Continenti così distanti tra loro, ma legate inconsapevolmente ad una comune memoria che ha lasciato una evidente traccia nelle rispettive esistenze, possano incontrarsi e ricostruire la verità di una vicenda che appartiene ad un così lontano passato.

Eccezionalmente qualche mese fa, la figlia di Frederick W. Vincent III, signora Victoria Howland, accompagnata dal marito Dulany, sono stati ospiti presso il mio studio-museo in Ceprano (FR), sede dell’Associazione culturale Historia, Storia & Militaria[3]. Insieme alla Guida turistica Anna Maria Priora[4] e all’amico ricercatore storico Diego Cancelli[5], si è effettuato un briefing per verificare gli atti ed i documenti ritrovati presso vari archivi o portati dall’America dai signori Howland, inerenti la vicenda del B25 caduto quel 12 gennaio 1944 nel raid sulla diga di Isoletta, pilotato dal padre di Victoria. Condivise, così, le informazioni e la documentazione raccolta, una volta individuati i siti d’interesse sulla mappa di orientamento, si è programmato un percorso di visita che ha toccato i luoghi legati alla vicenda oggetto della nostra ricerca.

I coniugi Howland nello studio – museo dell’Architetto Francesco Arcese, programmano il tour che li porterà a visitare i luoghi legati alla storia del padre di Victoria, Frederick W. Vincent III.

Prima tappa del tour è stato, quindi, il sito della diga idroelettrica di Isoletta, obiettivo dell’attacco. Dalla piattaforma di sosta posta a lato della strada, si è potuta comparare la struttura attuale, immutata rispetto a quella del 1944, con le foto d’epoca scattate dopo la ritirata tedesca che evidenziavano i danni subiti dagli sportelloni mobili dell’invaso e dal ponte antistante la stessa, a causa dei bombardamenti e del sabotaggio delle paratie fatte saltare dai genieri tedeschi.

Gli Howland davanti alla diga di Isoletta, obiettivo della missione n.186 del 12 gennaio 1944 assegnata ai B25C del 321° Bomb Group, 447° Bomb Squadron. Alle loro spalle le paratie di sinistra che risultarono danneggiate dal raid ma che furono poi distrutte nel maggio 1944 dalle truppe tedesche in ritirata. La magnifica vista sulla valle del Liri dal punto panoramico della “Madonna della Guardia” da dove si è illustrata la situazione del fronte di guerra della linea Gustav e la posizione della diga ed il lago di Isoletta, obiettivi del raid dei B25 quel 12 gennaio 1944

A seguire ci si è spostati sulla cima del monte che sovrasta l’ambito, dove si erge il santuario della Madonna della Guardia, una balconata panoramica emozionante con sguardo che dal sottostante complesso del lago e della diga di Isoletta, si perde sull’orizzonte verso Cassino e l’abbazia di Montecassino, perni della Gustav, la prima linea di difesa tedesca che fermò l’avanzata alleata dal gennaio al maggio 1944. Da lì si è potuto ricostruire il percorso di avvicinamento dei bombardieri all’obiettivo e, dopo lo sgancio, la rotta di uscita e di allontanamento durante la quale il B25 pilotato da Frederick W. Vincent veniva colpito e precipitava a terra presso Roccasecca, sul sito dove oggi è presente uno stabilimento produttivo, visibile sullo sfondo ai piedi dei primi contrafforti di monte Cairo, la vetta che con i suoi 1700 metri domina l’intera valle del Liri. La comitiva, pertanto, si spostava presso quell’area, posta nelle immediate vicinanze dell’Autostrada A1. Durante la guerra il terreno occupato oggi dall’industria stessa, era di proprietà del nonno di un conoscente del nostro amico e ricercatore Dott. Roberto Arcese[6]. A quest’ultimo già da tempo era stato raccontato come proprio su quelle superfici durante la guerra era caduto un aereo americano, i cui pochi resti, dopo la ritirata dei tedeschi, venivano prelevati e venduti ai recuperanti di materiali ferrosi e di alluminio.

Sullo sfondo della piana del Liri il monte Cairo ai cui piedi è Cassino e la celebre abbazia di Montecassino. Al centro, sul limite della pianura con i monti, il sito dove precipitò il B25 Mitchell colpito dalla flak tedesca. Gli Howland sul cavalcavia dell’Autostrada presso il paese di Roccasecca. Dietro di loro sono visibili i terreni dove precipitò il B25 del secondo tenente Frederick W. Vincent III, padre di Victoria.

Utilizzando un piccolo relitto di profilo fatto di quest’ultima lega, il nonno del suo amico aveva realizzato un coltello che ora veniva mostrato ai nostri commossi ospiti, a conferma dell’evento di cui il nonno dell’amico era stato testimone, ovvero che quello era in effetti il punto di caduta del B25 compatibile, altresì, con l’indicazione su mappa del crash point contenuta nel MACR n.1837 innanzi citato. Grande l’emozione per quel relitto del passato, che ha ricongiunto per un istante l’esistenza di una figlia, allora troppo piccola, ai fievoli ricordi di quel padre ‘lontano’, mai goduto pienamente e sfortunato.

      Il coltello realizzato con manico di alluminio proveniente da un profilo del B25 abbattuto

QUESTA LA MIA STORIA, di Frederick W. Vincent III

A questo punto si poteva considerare chiusa la ricerca. Le sue conclusioni, condivise con i diversi studiosi che avevano dato il loro contributo per la ricostruzione della verità su quell’evento, chiudevano la pagina legata alla memoria di Vincent ed ai luoghi della sua tragica esperienza di guerra. Ma eccezionalmente, a distanza di qualche mese, mi veniva recapitata una lettera con al suo interno un foglio su cui era riportato il racconto, personale e sofferto, dei momenti vissuti dal padre di Victoria in quei pochi istanti prima che l’aereo precipitasse a terra. Ecco la sua narrazione:

“Lo scopo del racconto dei seguenti eventi è solo quello di ricordare a me stesso e alla mia famiglia, i momenti che mi hanno portato a vivere le esperienze della prigionia, aiutandomi a comprendere la grande quantità di tempo perduto durante quei giorni, che probabilmente saranno ricordati come i più importanti della storia. La nostra storia. Le esperienze da me vissute sono quelle tipiche degli aviatori abbattuti per mano nemica e, come la mia, solo poche di esse possono ritenersi uniche.

Il 12 gennaio 1944 giacevo a letto triste e pensoso nell’errata convinzione che ci stessimo troppo rilassando nel nostro ozio. Era una splendida giornata invernale nel sud d’Italia, luminosa e frizzante con una leggera brezza che soffiava, il tipo di giornata in cui ci si aspetta che tutto vada bene. L’improvviso allarme per prepararsi rapidamente ad una missione, ha fermato le mie fantasticherie, ma nella fretta stavo lasciando negli alloggiamenti parte delle mie attrezzature. K.C. DeMay si rese conto della mia situazione e mentre divoravo frettolosamente il mio ultimo buon pasto, mi riconsegnò l’equipaggiamento dimenticato, risparmiandomi ulteriori difficoltà impreviste.

Il briefing che seguì fu breve e pertinente: l’obiettivo era approssimativo, si trattava di una diga sul lago di Isoletta, un piccolo paesino vicino San Giovanni Incarico e l’importante snodo di Ceprano. Andando verso i nostri aerei alcuni uomini, tra cui il mio ufficiale bombardiere, approfittarono di una pausa per dire una preghiera, una supplica perché potessero tornare a casa. Raggiunti gli aerei la nostra attività tornava tra quelle consuete di routine. Ho avuto difficoltà ad avviare il motore sinistro perdendo il vantaggio di un adeguato riscaldamento per decollare in sequenza. Il mio mitragliere volava nell’aereo di testa e per gran parte della salita continuai a parlare con lui a gesti e con le labbra, avvicinando di tanto in tanto la punta dell’ala al suo finestrino laterale.

Arrivati sull’obiettivo in perfetto orario, i tedeschi ci accolsero con il consueto e caloroso fuoco di benvenuto da terra con i loro pezzi antiaerei da 88 e da 105. Era il segnale per iniziare a districarci in manovre evasive per rendere più difficoltoso il loro compito, un balletto in quota tra le esplosioni molto ‘sportivo’ dal nostro punto di vista. Una volta completato il passaggio e lo sgancio sulla diga, la contraerea si calmò. Avevo portato a termine un’altra missione e così tirai un sospiro di sollievo scambiando qualche parola con il mio ufficiale di bordo circa il proseguo del nostro volo di rientro. Improvvisamente wham, la cabina si riempie di fiamme, nessun controllo, nessuna sensazione, nessuna paura, non c’era più niente che io potessi provare a fare. Era successo velocemente e tutto sarebbe finito presto. Ho dato un’ultima occhiata alla foto della mia Dorothy posata sul cruscotto, ora non mi aspettavo null’altro. Poi ebbi la sensazione di una mano che, allungandosi, mi sollevava dal sedile e la sua misteriosa ‘mente’ mi ripeteva “Aspetta figliolo, non ti vogliamo ancora”. Potevo vedere il cofano del motore e l’elica mentre lasciavo la cabina, il fuoco che si sviluppava lungo la fiancata destra e improvvisa l’esplosione che mi spazzava via dall’aereo oramai perduto. Mentre cadevo nel vuoto tirai la maniglia d’apertura del mio paracadute che prese aria e si aprì con uno scossone, facendomi dondolare dolcemente in un cielo calmo e nel silenzio più completo. Girandomi nell’imbracatura vidi un’altra macchia bianca emergere al di sotto. Si allargò poi scomparve dai miei occhi, ma notai un’esplosione arancione che deluse la mia speranza di un altro compagno che si era salvato.

Ho sentito forse un urlo a seguire tutto ciò? Non lo so. Vedo altri due punti bianchi sotto di me. “Sì, almeno sono O.K”. Ho fatto scivolare il paracadute verso sud sperando di finire tra gli edifici di un piccolo villaggio, ma guardando in basso ho potuto vedere molti soldati tedeschi che correvano verso di me per catturarmi. Forse potevo prendere terra in un posto più amichevole e ho puntato così verso il mio ‘villaggio’ guidando il paracadute tra due cavi della linea elettrica. Sotto di me un comitato di accoglienza di circa 200 ragazzi in blu mi arringava gridando al souvenir e indicando la mia (pistola) Colt cal.45. Gliel’ho lanciata e un ufficiale sorridente mi ha fatto segno di avvicinarmi ad un’auto già in attesa sulla quale era appoggiato. Il mio amichevole ‘villaggio’ non era altro che un bivacco di truppe tedesche. Ho cercato di convincerli a portarmi dov’era caduto il mio aereo e l’equipaggio, ma senza successo. Invece sono stato condotto al quartier generale e lì ho incontrato un ufficiale tedesco che parlava inglese. È allora che ho cominciato a sentirmi strano e un po’ preoccupato per il mio futuro. La faccia, le gambe e la testa cominciarono a prudermi ed io iniziai a grattarmi. La mia testa era insanguinata e tutti i miei capelli erano bruciacchiati, la pelle delle mie orecchie si è staccata nella mia mano e la mia mano destra gonfia aveva subito la rottura di un’arteria senza spaccare la pelle. Erano comunque tutte lacerazioni superficiali e sorpreso dovetti ammettere che in effetti quel 12 gennaio 1944, ero stato molto fortunato”.

Frederick W. Vincent III, nato il 21 maggio 1919, tornò dalla prigionia in Germania nel maggio 1945. Il 10 giugno 1946 salì nuovamente su un aereo, sua grande passione, per portare di persona al padre le foto del suo secondo figlio, appena nato. L’aereo incontrò una forte perturbazione e precipitò. Vincent aveva appena festeggiato i suoi 27 anni.

Francesco ARCESE

Presidente dell’Associazione Culturale Historia, Storia & Militaria

Via dei Quarti n.15  03024 – CEPRANO (FR) ITALIA

MAIL: arcese.f@gmail.com

Maggio 1944: i danni provocati dal sabotaggio della diga e delle sue paratie da parte dei tedeschi in ritirata. Anche il ponte posto   davanti all’opera, risulta fatto saltare e i genieri canadesi stanno completando la costruzione di un ponte Bailey per ripristinare il   traffico da Roccasecca e Pontecorvo per Ceprano. La ricognizione aerea di soli 5 giorni dopo il bombardamento del 12 gennaio 1944, mette in evidenza la concentrazione di ordigni a nord, nord-est della diga che uscì indenne dall’azione.  


NOTE:

[1] AGOSTINO ALBERTI che ha effettuato importanti approfondimenti sulla vicenda, fornendo atti e documenti che hanno permesso di chiarire dettagliatamente l’evoluzione della stessa, riveste il ruolo di Socio all’interno del ‘Gruppo Air Crash Po’ che vede quali altri componenti MATTEO ANNONI, DIEGO VEZZOLI, STEFANO MERLI E LUCA MERLI. L’Associazione svolge da anni ricerche storiche su incursioni aeree e veicoli precipitati per cause belliche durante il secondo conflitto mondiale. La stessa ha al suo attivo 15 testi specialistici sul tema ed ha pubblicato su riviste e quotidiani circa 200 articoli con approfondimenti sulle risultanze delle ricerche portate avanti da tempo.

L’Ingegnere ALDO VILLAGROSSI che ha fornito una approfondita ricostruzione della missione di bombardamento sulla diga di Isoletta e, in particolare, degli ultimi istanti del B25C dopo che lo stesso era stato colpito dalla flak, riveste il ruolo di collaboratore esterno del Gruppo.

[2] Nel maggio 1943 il Comando dell’Air Force statunitense raccomandò l’adozione di uno speciale rapporto, il MACR ‘Missing Air Crew Report’ decisivo per documentare i fatti e le circostanze più rilevanti e conosciute fino all’ultimo momento, circa la fine o la ‘scomparsa’ degli equipaggi dei veicoli abbattuti, da aggiornare successivamente all’atto della conoscenza di ulteriori testimonianze emerse a seguito del ritrovamento o ritorno dalla prigionia di personale creduto deceduto, o delle stesse informazioni fornite da parte dei tedeschi sugli uomini catturati.

[3] L’Associazione HISTORIA, Storia & Militaria, fondata nel 1993, ha gestito molte delle manifestazioni e celebrazioni commemorative organizzate dai Comuni del cassinate, legate alla vicenda storica della battaglia per la linea Gustav o della valle del Liri. La stessa ha sviluppato interessanti collaborazioni con la RAI e TV straniere ai fini della ricostruzione di eventi che hanno interessato il nostro territorio, fornendo in diverse occasioni mezzi storici e attrezzature originali, oltre che il supporto alla ricerca storico documentale. Tra le attività in corso, la ricostruzione in collaborazione con gli Archivi militari americani, della storia di aerei caduti e dei loro equipaggi, la guida di comitive per escursioni sui luoghi delle battaglie, e in collaborazione con diverse ambasciate, tour a supporto di ricerche didattiche e storiche, o sui siti legati ai combattimenti per la conquista di Cassino – Montecassino, da parte di scuole di guerra straniere. Dalla data di istituzione il Presidente è l’Architetto FRANCESCO ARCESE

[4] Laureata in lingue con Dottorato di ricerca in ambito storico, tra l’università di Cassino e la Humboldt Universität di Berlino, ANNA MARIA PRIORA lavora da oltre 20 anni come guida abilitata in 5 lingue sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale, in particolare lungo la linea Gustav, la Winter Line e le spiagge dello sbarco di Anzio

[5] L’Architetto DIEGO CANCELLI riveste il ruolo di Presidente dell’Associazione culturale APRILIA1944 con sede in Aprilia (LT). Anche in questo caso le attività svolte dall’Associazione sono incentrate sugli approfondimenti degli eventi connessi allo sbarco di Anzio, attraverso l’organizzazione di manifestazioni commemorative, mostre e conferenze presso Enti e scuole. Sempre più spesso gli appartenenti offrono il supporto a visite guidate sui luoghi degli scontri o l’accompagnamento di familiari dei veterani o dei caduti presso le località legate alla storia e alla memoria degli stessi, o presso i diversi cimiteri presenti sull’area. La disponibilità unica di mezzi storici originali e funzionanti, ma anche di figuranti muniti di divise d’epoca, ha portato al coinvolgimento dell’Associazione nelle riprese per film contestualizzati al periodo della seconda guerra mondiale, cui viene fornita l’assistenza storica e uniformologica. 

[6] Il dottor ROBERTO ARCESE ha una interessantissima collezione di aerei moderni, documenti e relitti con i quali intende creare un Parco storico Aeronautico. Lo stesso è Presidente dell’Associazione “Pony 6 PAN Club Frecce Tricolori”.


Diritti di pubblicazione o riproduzione, anche di parte del testo o delle foto, riservati a HISTORIA Storia & Militaria – CEPRANO (FR)


Abbiamo già scritto:

Cassino 1944: bombe sull’Abbazia

25 gennaio 1944. Ricordi di una tragedia

25 gennaio 1944 (parte seconda). Il punto di vista militare

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