Ceprano e i suoi costumi tipici descritti da un francese ‘casalingo’ (avec quelques notes en français)

Alphonse Karr déteste les voyages, il aime rester à la maison, il préfère une vie de famille où il peut faire ce qu’il aime le plus : être en pantoufles, être un casanier. Mais ensuite il se ravise et entre 1872 et 1875 il entreprend quelques voyages qui le conduisent également en Italie : Gênes, Milan, Brescia, Venise, Bologne, Naples et Ceprano, avec le chemin de fer inauguré il y a quelques années. Oui, vous avez bien lu, Ceprano était l’une des étapes du voyage italien et, unique dans la Ciociaria, elle est présente dans le livre Notes de voyage d’un casanier (Calmann Levy, éditeur à Paris, 1877), occupant tout le chapitre XVII. Pour les amis francophones, en annexe nous rapportons le texte intégral du chapitre en version originale.


Alphonse Karr odia i viaggi, sta volentieri a casa, preferisce una vita casalinga dove poter esercitare la cosa che ama di più: stare in pantofole, fare il casanier. Ma poi ci ripensa e tra il 1872 e il 1875 intraprende alcuni viaggi che lo porteranno anche in Italia: Genova, Milano, Brescia, Venezia, Bologna, Napoli e Ceprano, con la ferrovia inaugurata da pochi anni. Si, avete letto bene, Ceprano è stata una delle tappe del percorso italiano e, unica in Ciociaria, è presente nel libro Notes de voyage d’un casanier (Calmann Levy, Editore in Parigi, 1877), occupando tutto il capitolo XVII. Il nostro dunque, nonostante il suo carattere ‘pantofolaio’, parte e poi racconta quel che vede e pensa; e noi vogliamo cogliere il motivo della partenza tra le righe della dedica a stampa nelle pagine iniziali, da lui firmata:

“Alla signora Anna De Bésobrasoff*, nata De Soukhosaneth

Permettetemi, signora, di dedicarvi questo libro che, in realtà, già vi appartiene. Odio viaggiare, e probabilmente non avrei mai visto i bei paesi e le belle cose di cui parlano questi appunti, se, per me, all’attrattiva che gli uni e le altre esercitano su tutto il mondo, non si fosse unito l’incantevole onore di accompagnarvi, o la speranza di rincontrarvi.

Alphonse Karr”

Abbiamo già conosciuto il giornalista e scrittore Alphonse Karr (Parigi, 1808 – Saint Raphaël, 1890) in Immaginando Ceprano. Memorie, Mappe e Rappresentazioni (F.Arcese, M.Martini, P.G.Monti, O.Ruggeri, Edizioni MAF, Ceprano 2014), nel capitolo Passaggi e paesaggi di frontiera. Ceprano e dintorni nelle memorie dei viaggiatori dell’800, dove Mauro Martini tratta dei costumi, della bellezza femminile e delle feste di piazza della Ciociaria e di Ceprano in particolare, e dove cita il famosissimo quadro di Léopold Robert che ritrae l’arrivo dei mietitori ciociari con gli stessi abiti che Karr vede a Ceprano in occasione del suo viaggio. Una vera testimonianza oculare. Aggiungiamo che Karr si dedicò anche alla vita politica, ma senza grandi successi. Dopo il 1851 si ritirò in Costa Azzurra a Saint Raphaël nei pressi di Nizza, dove all’attività di scrittore affiancò quella di imprenditore florovivaistico di successo.

Oggi proseguiamo l’omaggio al libro Immaginando Ceprano, nel decennale della pubblicazione, con l’edizione integrale del capitolo XVII de Notes de voyage d’un casanier, da noi tradotta per l’occasione. Degne di nota sono le riflessioni che Alphonse Karr dedica ai cambiamenti sociali e tecnologici in corso in Europa e nell’Italia post-unitaria e che sembrano scritti oggi, al netto di qualche passaggio antiprogressista.

In appendice il testo integrale in lingua francese del capitolo XVII.


Appunti di viaggio di un casalingo

Capitolo XVII

Ceprano – Le cose al loro posto – Un monumento della più alta antichità – Il Liri – Le ferrovie – Il progresso – La vera ricchezza – Sui muratori di Babele che mancavano di pazienza

di Alphonse Karr

A Ceprano ho trovato l’intera popolazione, uomini e donne, con i costumi che a noi sono piaciuti tanto in Les Moissonneurs, di Léopold Robert: gli uomini con la giacca rossa, blu o verde, senza maniche, una seconda giacca marrone sulle spalle, un largo cappello sulla testa. Le donne, a piedi nudi, con una camicia di tela, un corsetto verde, blu, rosso o viola, una collana di corallo, e in testa un piccolo fazzoletto bianco che sanno disporre con civetteria e pittorescamente in venti modi diversi. Non mi è dispiaciuto di rivedere per qualche istante le forme femminili più o meno al loro posto, cosa alla quale mi aveva quasi disabituato la tirannia delle mode parigine.

Les Moissonneurs (Ritorno dei mietitori) di Léopold Robert

Altro contrasto, la città di Roma, così piena di magnificenza e ricchezza, è infestata da mendicanti che rattristano e intralciano le passeggiate. A Ceprano, dove molti bambini restano senza maglietta o si accontentano di pochi frammenti molto incompleti, non ho visto un solo mendicante. Lì ho incontrato questa povertà felice che ho notato durante le mie altre passeggiate in Italia.

Avevo anche un certo bisogno di stare per qualche tempo senza vedere i monumenti, che non cessano di raccontarti la morte non solo di uomini, ma di popoli e di nazioni, e dove tutto attesta che cammini su un terreno interamente fatto di umana polvere. La padrona della Locanda nuova di Ceprano mi disse con aria di umiliato dolore: “Qui non abbiamo monumenti da mostrare agli stranieri”; mi sono affrettato a rassicurarla indicandole la scala del suo albergo, una delle più ripide e più terribili scale che abbia mai visto: “Vi sbagliate, signora, la vostra scala è un monumento, e forse una delle più antiche che Roma possa vantare; senza dubbio è stata costruita molto tempo prima dell’invenzione delle scale, che già le miglioravano e risalgono alla più alta antichità”. Ma Ceprano ha altro, e diciamolo sottovoce, meglio dei monumenti antichi, più o meno grandi, opere degli uomini più o meno riuscite, lotte più o meno seguite da vittorie con la pietra e con la tela; imitazioni più o meno esatte, più o meno felici della natura; Ceprano ha la natura stessa, con i suoi splendori, le sue magnificenze, le sue armonie, non antiche, ma eterne e sempre giovani. Un fiume abbastanza forte, il Liri, circonda per più della metà il paese; all’orizzonte si levano alte montagne blu scuro, contro le quali si stagliano, con il loro verde vivo e allegro, i pioppi, i salici, gli ontani che si ergono con i piedi nell’acqua; intorno ai salici si arrampicano grandi convolvoli bianchi (‘belle di giorno’, n.d.r.); qua e là ci sono oleandri, non gracili arbusti di bosso come quelli che vediamo sotto cieli meno favorevoli, ma veri e propri grandi alberi, carichi di fiori profumati. Tra queste sponde verdi e fiorite scorre il Liri, a volte calmo e profondo, a volte rapido, spumeggiante, rumoroso, quando passava sotto i mulini, e cantava in coro con i mulini il canto bello ed eterno del lavoro e del pane. Anche il grano e il mais, portati dai campi, dove sono stati irrigati dalla pioggia del cielo e dal sudore dei lavoratori e dei mietitori, sui carri trainati da questi grandi buoi grigi dalle enormi corna dritte, mescolano le loro voci a questo canto mentre la macina li schiaccia e li trasforma in farina bianca o dorata.

Perché questa povertà calma e felice avviene solo nei paesi notoriamente poveri, dove l’uomo resta a diretto contatto con la natura, con la terra, e non aspetta altro che il cielo, e questa felicità non si trova nelle città arricchite, si dice, dal progresso? Eh! è che in realtà sappiamo ben poche cose con certezza; non è affatto dimostrato che quello che chiamiamo progresso sia, in realtà, un passo avanti verso il benessere, verso la felicità. Con certi mezzi utili a soddisfare più facilmente e più piacevolmente i tre o quattro bisogni reali che la natura ci ha dato, ciò che chiamiamo progresso ci porta allo stesso tempo altri e nuovi bisogni, e quando, grazie ad esso, le nostre risorse aumentano di una volta, i nostri bisogni aumentano di tre. Questa grande rivoluzione ferroviaria, che annulla le distanze, mescola i popoli, confonde usi e costumi, ha già eliminato la varietà dei costumi, e creerà, col tempo, una lingua poliglotta, fatta di tutte le lingue mescolate e confuse, quella che i muratori di Babele avrebbero parlato se non si fossero separati. Questa rivoluzione sacrifica le piccole località ai grandi centri; prima delle ferrovie, non c’era villaggio, città o borgo che non avesse le sue grandi o piccole ricchezze, dovute alla natura, che rendeva la vita facile e piacevole ai suoi abitanti; questi avevano caccia e selvaggina, quelli pescavano, pesci del mare o dei fiumi, quegli altri grano e frutta in abbondanza, ecc. Le ferrovie vengono a raccogliere tutto e portano tutto nelle capitali e nelle grandi città. Qui qualcuno mi potrebbe interrompere per dire: “Sì, ma le capitali e le grandi città restituiscono in denaro ciò che prendono, e il prezzo delle merci che assorbono cresce ogni giorno a vantaggio di chi le produce, e questo prodotto li arricchisce”.  Sembra vero, è addirittura vero, eppure è vero solo sotto un aspetto: porta soldi, ma porta anche nuovi bisogni e costose abitudini.

Il vero progresso incontestabile sarebbe che tutti vivessero nel modo più agiato e con il minor lavoro possibile. È un progresso felice quello che richiede ogni giorno una maggiore quantità di lavoro per provvedere alle necessità della vita, senza contare le inquietudini, le preoccupazioni, le ansie, le disperazioni di coloro che non riescono, perché le necessità aumentano ogni giorno, perché il ‘progresso’ ne aumenta il numero e le esigenze, sempre più di quanto fornisca i mezzi per soddisfarle? La domenica, questo giorno di riposo gioioso che prima ritornava ogni settimana, è quasi ovunque eliminato per l’operaio; oppure lo passa stupidamente e solo al cabaret, leggendo o sentendo leggere e commentare i giornali, e bevendo liquori adulterati e malsani, lasciando a casa la moglie e le figlie, le quali, dal canto loro, non si accontentano più dei loro ornamenti semplici, puliti e graziosi di un tempo, e preferiscono non passeggiare, non ballare, non divertirsi, ma ostentare gli occhi e le crocchie finte, e le gonne doppie, e le tuniche, e i grembiuli che vedono sulle donne borghesi e che non hanno altro risultato che renderle brutte, quando le acquistano a tutti i costi.

Citerò solo un esempio, e lo prenderò dalla mia esperienza personale: la cittadina di confine nella quale vivo, Saint-Raphaël, è soprattutto una colonia di marinai e pescatori; si racconta che trent’anni fa, vent’anni fa, come oggi, sui loro fondali si pescava dell’ottimo pesce, e questo pesce lo si vendeva a poco prezzo, perché, per quanto abbondante fosse la pesca, il pesce non poteva essere trasportato e venduto che in tempi molto brevi e in un raggio ristretto intorno a loro. Oggi, grazie alle ferrovie, il raggio si è notevolmente ampliato; si estende venti volte più di prima; il prezzo del pesce di Saint-Raphaël, che rifornisce le grandi città lontane, è decuplicato. Progresso! Dite voi. Aspettate un po’, ora arriva davvero molto più denaro a Saint-Raphaël. Bene!…progresso!… Aspettate… quindi pensate che gli abitanti siano più ricchi e più felici di prima? Senza dubbio. Ebbene, è vero il contrario; in passato trovavamo cibo sano, facile ed economico nel pesce, venduto a basso prezzo, e nella selvaggina uccisa nella foresta; oggi gli abitanti di Saint-Raphaël non possono più mangiare pesce o selvaggina a causa dei prezzi troppo alti. Lo ammetto, dite voi, ma i pescatori guadagnano molto di più. Guadagnano di più, risponderò, ma spendono molto di più, e qui troviamo la proporzione di uno a tre di cui parlavo prima. Nello stesso tempo in cui aumenta il prezzo del pesce che vendono, aumenta in proporzione almeno uguale quello di tutte le derrate alimentari che devono acquistare, così come altre abitudini, altri bisogni, certi piccoli lussi si sono insinuati e sono diventati necessari; In una parola, tutti sono d’accordo su un punto e cioè che siamo a Saint-Raphaël, mentre vediamo circolare molto più denaro, più poveri e meno felici di prima. Deve essere così, è così ovunque. La vita, per usare l’espressione popolare, diventa ogni giorno più cara, vale a dire ogni giorno ci vuole più lavoro, con un’incertezza più toccante, per nutrire tua moglie e i tuoi figli. Deve essere così, è così ovunque. È triste, è preoccupante, ed è mia opinione che non siamo abbastanza preoccupati al riguardo.

Una cosa mi ha spiacevolmente colpito a Ceprano, è che la figlia della padrona della locanda, che a volte vede passare ricchi viaggiatori, già cerca di conciarsi in modo stravagante e diverso dalle altre ragazze del paese; ha già adottato questo modo brutto e stupido di tagliare corti i capelli sulla parte anteriore della testa e di farli cadere in una frangia rigida, attaccata alla fronte; e la vidi non perdere di vista una giovane viaggiatrice della sua età, di cui evidentemente studiava il costume con il desiderio di prenderne in prestito qualcosa. È un inizio, e continuerà, si diffonderà, per contagio; tra dieci anni, forse prima, le donne di Ceprano saranno vestite alla parigina, si crederanno eleganti, e saranno povere, brutte, infelici, forse peggio, e i viandanti saranno assaliti dai mendicanti.

Alphone Karr

*Madame Anna De Bésobrasoff

Due rose sono dedicate ad Anna Bésobrasova. Una di queste è stata creata da Gilbert Nabonnand nel 1877 e si chiama ‘Madame Anna De Bésobrasoff’. Questa varietà ha fiori bianchi con il rovescio rosa e il centro rosa. Un’altra rosa, creata dall’allevatore francese Jean-Marie Gono, si chiama ‘Anna De Bésobrasoff’. Creata probabilmente nel 1878, ha fiori di colore viola-ciliegia. Entrambe le rose non sono sopravvissute. Nabonnand viveva sulla Costa Azzurra e Gono viveva a Lione.

Ma chi è Anna Bésobrasova, in onore della quale qualcuno ha fatto creare due nuove varietà di rosa? I Bésobrasoff sono un’antica famiglia nobile russa. Anna nacque nel 1826 nella famiglia dell’eroe della guerra patriottica del 1812, il generale di artiglieria Ivan Onufrievich Soukhosaneth (1788-1861). La prima moglie di Ivan Onufrievich, Reina Ivanovna Godymin-Belozor, morì nel 1823. Si sposò una seconda volta con Ekaterina Aleksandrovna Beloselskaya-Belozerskaya. Nel 1844, all’età di 18 anni, Anna Soukhosaneth sposò Nikolai Aleksandrovich Bésobrasoff, entrando così in una famiglia molto ricca e nobile. Ben presto la coppia Bésobrasoff ebbe due figlie: Maria ed Ekaterina; quest’ultima sposò il principe Nikolai Nikolaevich Khovansky, mentre Maria rimase celibe. Nel 1861 il padre e la madre di Anna morirono uno dopo l’altro. Il marito di Anna Ivanovna, Nikolai Aleksandrovich Bésobrasoff (17/10/1816 – 15/10/1867), è noto nella storia russa come una persona straordinaria e creativa. Morì improvvisamente a Carskoe Selo. Al momento della sua morte ricopriva il grado di consigliere di Stato. Dopo la morte di suo marito, Anna Ivanovna iniziò a ricostruire la sua vita, che divenne notevolmente più vivace. Anna Ivanovna aveva due figlie: Maria ed Ekaterina; quest’ultima morì nel 1913 a Ginevra. La seconda figlia di Anna Ivanovna Bésobrasova, Maria, dichiarata malata di mente, aveva bisogno di cure costanti che, secondo Anna Ivanovna, potevano essere fornite meglio all’estero. Così, madre e figlia si trasferirono in Francia e vissero a Nizza per molti anni, non lontano da Saint Raphaël.

Nel 1877, l’allevatore francese Gilbert Nabonnand creò un’altra varietà di rosa che portava il nome di Maria: ‘Mariette De Bésobrasoff’, con fiori rosa, di media grandezza e debolmente profumati. Anche questa varietà non è sopravvissuta. Pertanto, entrambe le rose, ‘Mariette De Bésobrasoff’ e ‘Madame Anna De Bésobrasoff’ sono state allevate nello stesso anno dalla stessa persona; lo stesso anno della pubblicazione del libro di Alphonse Karr. Il vivaio di Gilbert Nabonnand (Les Roses du Golfe-Juan), dove tra il 1850 e il 1941 condusse esperimenti sulla selezione delle rose, si trovava nella città di Golfe-Juan, vicino a Nizza. Sfortunatamente le rose non sono sopravvissute. Il 21 aprile 1895 Anna De Bésobrasoff morì a Losanna. Il suo corpo fu trasportato in Russia e sepolto nel cimitero Bolsheokhtinsky di San Giorgio a San Pietroburgo (la sepoltura è andata perduta).

Sfogliando il sito Les amis des Roses Nabonnand, dove sono censite ben 252 varietà, scopriamo che Gilbert Nabonnand nel 1879 creò una rosa di colore rosso porpora con il nome di Alphonse Karr, ma anche questa varietà è andata dispersa. Ci piace pensare che Anna e Alphonse abbiano affidato al Nabonnand l’incarico di un reciproco dono, immaginandolo eterno: i nomi delle rose.


Abbiamo scritto:

Le “belle di Ceprano” e dintorni. Usi e costumi nelle memorie dei viaggiatori dell’800

Grand Tour, viaggio in Italia

La sosta e l’ospitalità a Ceprano nelle memorie di un viaggiatore polacco dell’800


Appendice: testo integrale in lingua francese del capitolo XVII.

A Ceprano, je trouvai toute la population, hommes et femmes, avec les costumes qui nous plaisaient tant dans les Moissonneurs, de Léopold Robert les hommes avec les vestes rouges, bleues ou vertes, sans manches, une seconde veste brune sur l’épaule, un large chapeau sur la tête. Les femmes, nu-pieds, avec une chemise de toile, un corset vert, bleu, rouge ou violet, un collier de corail, et sur la tête une petite serviette blanche qu’elles savent arranger coquettement et pittoresquement en vingt façons différentes. Je n’étais pas fâché de revoir quelques instants les formes féminines à peu près à leur place,ce dont m’avait presque déshabitué la tyrannie des modes parisiennes.

Un autre contraste cette ville de Rome, si pleine de magnificences et de richesses, est infestée de mendiants qui áttristent et encombrent les promenades. A Ceprano, où beaucoup d’enfants se passent de chemise ou se contentent de quelques fragments très-incomplets, je n’ai pas vu un seul mendiant. J’ai rencontré là cette pauvreté heureuse que j’ai remarquée lors de mes autres promenades en Italie. J’avais aussi un certain besoin d’être quelque temps sans voir de monuments, qui ne cessent de vous raconter la mort non-seulement des hommes, mais des peuples et des nations, et où tout constate que vous marchez sur un sol entièrement fait de poussière humaine.

La maîtresse de la Locanda nuova de Ceprano m’ayant dit avec un air de chagrin humilié : · Ici, nous n’avons pas de monuments à montrer aux étrangers. Je m’empressai de la rassurer en lui indiquant l’escalier de son hôtel, un des plus roides et des plus terribles escaliers que j’aie jamais vus : Vous vous trompez, signora, votre escalier est un monument, et un des plus anciens peut-être dont Rome puisse se vanter; il a été construit incontestablement assez longtemps avant l’invention des échelles, qui étaient déjà sur lui un perfectionnement et remontent à la remontent à la plus haute antiquité.

Mais Ceprano, a autre chose, et, disons-le tout bas, mieux que des monuments antiques, ouvrages plus ou moins grands, plus ou moins réussis des hommes, luttes plus ou moins suivies de victoires avec la pierre et avec la toile; imitations plus ou moins exactes, plus ou moins heureuses de la nature; Ceprano a la nature elle-même, avec ses splendeurs, ses magnificences, ses harmonies, non pas antiques, mais éternelles et toujours jeunes. Une assez forte rivière, le Liri, fait plus d’à moitié le tour du bourg; à l’horizon s’élèvent de hautes montagnes d’un bleu sombre, sur lesquelles se découpent, avec leur verdure vivante et gaie, les peupliers, les saules, les aulnes qui s’élèvent le pied dans l’eau ; autour des saules, grimpent en s’enroulant de grands liserons blancs; de place en place des lauriers-roses, non pas de chétifs arbustes en caisse comme on en voit sous les cieux moins favorisés, mais de vrais grands arbres, chargés de fleurs parfumées. Entre ces rives vertes et fleuries, coule le. Liri, tantôt calme et profond, tantôt rapide, écumeux, bruyant, lorsqu’il a passé sous les moulins, et chantant en choeur avec les moulins la belle et éternelle chanson du travail et du pain. Le froment et le maïs apportés des champs où ils ont été arrosés par la pluie du ciel et par la sueur des laboureurs et des moissonneuses, sur des chariots traînés par ces grands boeufs gris aux énormes cornes droites, mêlent aussi leur voix à cette chanson pendant que la meule les écrase et les change en farine blanche ou dorée. D’où vient que cette pauvreté, calme, heureuse, ne se trouve que dans les pays réputés pauvres, mais où l’homme reste en relations directes avec la nature, avec la terre, et n’attend rien que du ciel, et que ce bonheur ne se rencontre pas dans les cités enrichies, dit-on, par le progrès ? Eh! c’est que nous savons en réalité bien peu de choses d’une manière certaine, c’est qu’il n’est pas du tout démontré que ce que nous appelons le progrès soit, en réalité, un pas en avant vers le mieux-être, vers le bonheur. Avec certains moyens de satisfaire plus facilement ou plus agréablement les trois ou quatre besoins réels que la nature nous avait donnés, ce qu’on appelle le progrès nous apporte en même temps d’autres et nouveaux besoins, et lorsque, grâce à lui, nos ressources s’augmentent comme un, nos besoins s’accroissent comme trois. Cette immense révolution des chemins de fer supprime la distance, mêle les peuples, confond les mœurs et les usages, a déjà supprimé la variété des costumes, et créera, avec le temps, une langue polyglotte, formée de toutes les langues mêlées et confondues, celle qu’auraient parlée les maçons de Babel, s’ils ne s’étaient pas séparés.

Cette révolution sacrifie les petites localités aux grands centres; avant les chemins de fer, il n’était guère de village, de bourg, de hameau, qui n’eût sa grande ou petite richesse, due à la nature, qui rendait la vie facile et douce à ses habitants; ceux-ci avaient la chasse et le gibier, ceux-là la pêche, le poisson de la mer ou des fleuves, ces autres le grain et les fruits en abondance, etc. Les chemins de fer viennent faire rafle de tout, et portent tout dans les capitales et les grandes villes. On m’interrompt ici pour me dire : « Oui, mais les capitales et les grandes villes rendent ce qu’elles prennent en argent, et le prix des denrées qu’elles absorbent s’élève tous les jours au bénéfice de ceux qui les produisent, et ce produit les enrichit. » Ça a l’air vrai, c’est même vrai, et pourtant ce n’est vrai que sous un rapport; ça apporte de l’argent, mais ça apporte aussi des besoins nouveaux, des habitudes dispendieuses. Le progrès réel incontestable serait que tout le monde vécût le plus facilement et avec le moins de travail possible. Est-ce un progrès heureux que celui qui exige chaque jour une plus grande somme de travail pour subvenir aux nécessités de la vie, sans parler des inquiétudes, des soucis, des anxiétés, des désespoirs de ceux qui n’y arrivent pas, que ces nécessités s’accroissent tous les jours, parce que le « progrès » en augmente le nombre et les exigences, toujours plus qu’il ne donne les moyens de les satisfaire? Le dimanche, ce jour de joyeux repos qui revenait autrefois chaque semaine, est presque partout supprimé pour l’ouvrier; ou bien il le passe bêtement et seul au cabaret, à lire ou à entendre lire et commenter des journaux, et à boire des liqueurs frelatées et malsaines, laissant à la maison sa femme et ses filles, qui elles, de leur côté, ne se contentent plus de leurs simples, propres et coquettes parures d’autrefois, et aiment mieux ne pas se promener, ne pas danser, ne pas s’amuser, que de ne pas étaler aux yeux et les faux chignons, et les doubles jupes, et les tuniques, et les tabliers qu’elles voient aux bourgeoises et qui n’ont d’autre résultat que de les enlaidir, quand elles les acquièrent à tout prix.

Je ne citerai qu’un exemple, et je le prendrai sous mes yeux : la petite commune sur les confins de laquelle j’habite, Saint-Raphaël, est surtout une colonie de marins et de pêcheurs; ils vous disent qu’il y a trente ans, il y a vingt ans, ils pêchaient comme aujourd’hui d’excellents poissons sur leurs fonds de roche, et ce poisson se vendait à bas prix, parce que, quelque abondante que fût la pêche, le poisson ne pouvait se transporter et se vendre que dans un rayon très-étroit autour d’eux. Aujourd’hui, grâce aux chemins de fer, le rayon s’est singulièrement élargi; il s’étend vingt fois plus qu’auparavant; – le poisson de Saint-Raphaël, qui va alimenter de grandes villes assez éloignées, a décuplé de prix. -Le progrès! dites-vous. -Attendez un peu, il arrive en effet beau coup plus d’argent à Saint-Raphaël. -Eh bien!… le progrès!… Attendez donc… vous croyez alors que les habitants sont à la fois plus riches et plus heureux qu’autrefois? Eh bien, c’est le contraire qui est la vérité; – autrefois, on trouvait une nourriture saine, facile, à bon marché dans le poisson, qui se vendait à bas prix, ainsi que le gibier qu’on tuait dans la forêt; aujourd’hui les habitants de Saint-Raphaël ne peuvent plus, à cause de la cherté extrême, manger ni poisson ni gibier. Je l’admets, dites-vous, mais les pêcheurs, eux, gagnent beaucoup plus d’argent. Ils gagnent plus d’argent, répondrai-je, mais ils en dépensent beaucoup davantage, et ici nous trouvons la proportion de un à trois dont je parlais tout à l’heure. En même temps qu’augmente le prix du poisson, qu’ils vendent, celui de toutes les denrées qu’ils doivent acheter augmente dans une proportion au moins égale, et aussi d’autres habitudes, d’autres besoins, certains menus luxes en se sont insinués et sont devenus nécessaires; un mot, tout le monde est d’accord sur un point, c’est qu’on est à Saint-Raphaël, tout en voyant circuler beaucoup plus d’argent, plus pauvre et moins heureux qu’autrefois. Il doit en être, il en est de même partout. La vie, pour employer l’expression populaire, devient plus chère tous les jours, c’est-à-dire que chaque jour il faut plus de travail, avec plus de poignante incertitude, pour nourrir sa femme et ses enfants. Il doit en être, il en est de même partout. C’est triste, c’est inquiétant, – et m’est avis qu’on ne s’en inquiète pas assez.

Une chose m’a frappé désagréablement à Ceprano, c’est que la fille de la maîtresse de l’auberge qui voit quelquefois passer de riches voyageuses, cherche déjà à s’attifer autrement que les autres filles du pays; elle a déjà adopté cette mode laide et bête de couper courts les cheveux du devant de la tête et de les faire retomber en frange roide, collée sur le front; et je la voyais ne pas perdre de vue une jeune voyageuse de son âge, dont évidemment elle étudiait le costume avec le désir d’en emprunter quelque chose. C’est un commencement, et ça continuera, ça se propagera, par contagion; dans dix ans, peut-être auparavant, les femmes de Ceprano seront habillées à la parisienne, se croiront élégantes, et seront pauvres, enlaidies, malheureuses, peut-être pis, et les voyageurs seront assaillis par les mendiants.

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