Ceprano, 1950-1969: la problematica ricostruzione della chiesa di San Rocco

La problematica ricostruzione della chiesa di San Rocco, con il lungo dibattito sull’individuazione dell’area e la controversia sulle scelte progettuali,  ha occupato la politica e la curia negli anni dal 1950 al 1969; alcune decisioni prese in quel periodo hanno dato un preciso indirizzo al successivo sviluppo della città, con i segni e gli effetti tuttora evidenti.


Nei primi anni del ‘500 si assisteva a Ceprano ad una radicale operazione di rafforzamento delle fortificazioni esistenti, mediante lavori tesi ad approfondire fossati e consolidare l’antica cinta muraria, i bastioni, le torri e lo stesso antico castello, una strategia di ripiego per evitare la costruzione di una nuova e costosa fortezza, ma anche preordinata a raggiungere una maggiore capacità di difesa passiva del borgo, sempre più oggetto di assalti e tentativi di conquista che spesso finivano nella devastazione totale dell’abitato.

Nel 1510 papa Giulio II, a conclusione di tali opere finalizzate ad una migliore protezione dei confini pontifici posti a sud di Roma, completava l’intervento sulla rocca facendo edificare una chiesa in onore di san Rocco, il santo pellegrino protettore dalle pestilenze. La chiesa fu eretta dentro le mura, con la facciata rivolta verso l’interno dell’abitato medievale, sulla destra di piazza dell’Olmo (oggi piazza Guglielmo Marconi) ed era la costruzione che insieme al castello e alla imponente torre di guardia ad esso collegata, era posta più alto rispetto all’abitato degradante verso la porta sud ed il ponte sul Liri. Nel luogo dove realizzata, la chiesa non aveva abside perché la sua parete di fondo, alle spalle dell’altare, si appoggiava direttamente al tratto delle antiche mura difensive della rocca, con questo facendone parte.

La chiesa di San Rocco prima della seconda guerra mondiale

La chiesa, subito affidata alla Confraternita della Buona Morte (o Confraternita dei Sacchi Neri), poi aggregata nel 1638 da papa Urbano VIII alla Compagnia di san Rocco di via di Ripetta a Roma. Dopo più di duecento anni di vita, finito il periodo delle grandi e piccole contese, delle pestilenze e delle carestie, la popolazione di Ceprano iniziò ad avere un notevole incremento, per cui nel 1744 venne istituita da papa Pio VI la nuova parrocchia di San Rocco, alla quale furono affidate 1000 delle 3000 anime, sottraendole alla popolosa ed unica parrocchia di Sant’Arduino. Alla fine dell’ottocento la chiesa venne completata con un campanile guarnito di ben due orologi, uno diretto verso l’interno del vecchio borgo, l’altro verso le nuove aree di espansione edilizia. Proprio la sua posizione centrale rispetto all’abitato, ne determinò la fine: posta strategicamente lungo i principali percorsi urbani di attraversamento, venne minata e fatta saltare dalle truppe tedesche in ritirata nel maggio del 1944.

Il 29 giugno del 1963, appena pochi giorni dopo la morte di papa Giovanni XXIII (Roncalli) veniva posata e benedetta dal Vescovo Luigi Morstabilini la Prima Pietra della nuova chiesa di San Rocco: la città era amministrata dal Sindaco Giovanni Gizzi e di lì a pochi giorni ci sarebbe stata la ricorrenza del centenario dell’elevazione di Ceprano al grado di città (breve di papa Pio IX del 4 agosto 1863).  Un documento conservato in parrocchia ci ricorda che otto giorni prima era stato eletto Papa Paolo VI (Montini) e che ricorreva quel centenario. Una copia originale dell’atto, insieme a monete, francobolli e fotografie, venne cementata nella Prima Pietra, alla presenza dell’Abate don Umberto Baffi, del Ministro della Difesa Giulio Andreotti e del Sottosegretario di Stato Augusto Fanelli, e di altre autorità civili e religiose.

Riavvolgiamo il nastro della storia e vediamo di capire perché la chiesa non fu ricostruita nel luogo originario, e perché ci volle tanto tempo per decidere la nuova posizione e arrivare al progetto esecutivo.

Situato in piazza della Libertà, una volta Colle Alessio, il nuovo edificio fu inaugurato nell’anno 1969. Il lungo percorso amministrativo della “riedificanda chiesa” parte il 24 novembre 1950 con l’incarico professionale per il progetto preliminare, affidato dall’Ente per la Ricostruzione degli Edifici Ecclesiastici devastati dalla guerra (E.R.E.E.) allo studio degli architetti Mario Paniconi e Giulio Pediconi di Roma.

Nel 1953 fu Mons. Emilio Baroncelli, Vescovo pro-tempore, ad inoltrare al Ministero dei lavori Pubblici la domanda di concessione delle opere sulla base del progetto preliminare poi finanziato con Decreto ministeriale del gennaio 1961. Ma dovevano trascorrere ancora dieci anni per l’effettivo inizio dei lavori, intrapresi nel settembre del 1963, come da comunicazione inviata dalla Diocesi Vescovile di Veroli in data 17 febbraio 1964 alla Prefettura di Frosinone. I lavori principali sarebbero terminati ufficialmente nel giugno 1965.

La nuova chiesa al termine delle opere strutturali

L’area prescelta per la ricostruzione della chiesa e della casa parrocchiale, era localizzata nella zona di nuova espansione dell’abitato, nei pressi di altri importanti cantieri che riguardavano la scuola elementare e quella di avviamento professionale, e dove erano in corso anche i lavori per nuovi edifici di edilizia popolare. I vincoli dettati dal Piano di Ricostruzione  imponevano la scelta del sito di costruzione nella zona di espansione urbana che, come già detto, a quei tempi era denominata Colle Alessio, su un’area privata situata a nord dell’edificio scolastico, e compresa tra le Vie Alfieri, Carbonaro e Campidoglio; entro questo perimetro era destinata anche la ricostruzione intensiva dei fabbricati distrutti dalla guerra.

La scelta dell’ambito non fu affatto semplice, per i diversi punti di vista tra il Vescovo di Veroli, competente per territorio, ed il Consiglio comunale di Ceprano, chiamato ad esprimersi sulle varie proposte che venivano via via formulate, sia dal Vescovo, che dal Parroco. La vicenda occupò gli anni dal 1949 al 1952 e la massima assise del governo cittadino fu chiamata a discutere le varie proposte per ben quattro volte.

Nel mese di settembre del 1949 il Vescovo di Veroli inviava una nota al Comune, nella quale, variando il proprio parere favorevole precedentemente espresso sulla ubicazione della chiesa nell’area prevista dal Piano di Ricostruzione (quella attuale), chiedeva che risorgesse nella piazza Re Umberto e precisamente nell’area dei fabbricati distrutti dai bombardamenti, giudicando che l’area indicata dal Piano di Ricostruzione avrebbe “costretto” la chiesa in un angolo morto della città. Durante la discussione pubblica emerse tuttavia che la maggiore dimensione della nuova chiesa, rispetto a quella preesistente alla distruzione bellica, avrebbe comportato l’abbattimento di altri fabbricati, tutti abitati, con conseguente maggior onere per espropri ed ulteriori disagi per i cepranesi. La conclusione del Consiglio comunale non fu contraria, ma rimetteva al Vescovo il problema di trovare la soluzione ai maggiori costi della sua proposta.

Nel mese di novembre del 1950 il Parroco scriveva al comune di Ceprano facendo una diversa proposta: la nuova chiesa di San Rocco sarebbe potuta sorgere tra via Alfieri e via del Rio, nei pressi dell’Ospedale civico Ferrari. Tale soluzione non apparve idonea ai consiglieri comunali, perché lo “scampanio” delle continue celebrazioni religiose avrebbe creato disagio agli utenti della struttura sanitaria, per cui la delibera del Consiglio comunale confermò le scelte della precedente, offrendo all’Ente religioso la libera scelta tra l’area di Piano di Ricostruzione e quella di piazza Re Umberto, alle condizioni già espresse. Anzi si precisava che il Comune avrebbe sostenuto le spese di acquisto o esproprio del sito, ma fino alla concorrenza del prezzo di stima che sarebbe risultato per una superficie uguale all’area originariamente occupata dalla distrutta chiesa di San Rocco.

Nel mese di dicembre del 1950, è il Vescovo di Veroli a tornare sull’argomento con una nota in cui prospettava una nuova area edificabile, questa volta ubicata in via Campidoglio, località Santa Lucia, tra villa Carducci (oggi sede Municipale) e l’edificio INA casa, allora in costruzione. Il Consiglio comunale, con delibera del febbraio successivo, ritenne poco opportuna tale soluzione in quanto l’ingresso della chiesa sarebbe stato aperto su strada di traffico intenso (già allora!), senza poter beneficiare di una piazza o spazio antistante libero e sicuro per i fedeli.

L’assise pubblica, per non chiudere completamente, decise di non esprimere parere negativo, ma di demandare la questione ad un sopralluogo a cui sarebbero stati invitati il Vescovo di Veroli e l’Ing. Massimo Castellazzi, progettista del Piano di Ricostruzione. Non abbiamo trovato ulteriori documenti in merito alla diatriba, ma dagli eventi successivi possiamo dedurre che la scelta dell’area seguì esattamente quanto era stato previsto nella nuova pianificazione urbanistica, decretando con questo ulteriore tassello la volontà di sviluppare Ceprano verso aree esterne, tra via Campidoglio e via Caragno.

In merito alla destinazione da assegnare all’area della vecchia chiesa di san Rocco, distrutta nel 1944, ed alla scelta definitiva del sito ove costruire la nuova, il Consiglio Comunale di Ceprano veniva convocato per deliberare in merito nella seduta del 27 marzo 1952. Si precisa che in sede di progettazione del Piano di Ricostruzione, poi pubblicato a metà del 1955, era stato concordato di avocare al demanio pubblico l’area della vecchia chiesa, “allo scopo di consentire un congruo ampliamento della piazza Umberto, le cui anguste dimensioni erano assolutamente inadeguate al normale svolgimento della vita cittadina”. La delibera consiliare stabilì l’esproprio dell’area della vecchia chiesa a favore del Comune di Ceprano per farvi l’ampliamento della piazza, l’esproprio dell’area privata di Colle Alessio a favore del Comune e poi girata in permuta all’Autorità Ecclesiastica per l’edificazione della nuova chiesa.

Non tutti a Ceprano, però, erano convinti della validità del Piano di Ricostruzione, così come era stato ideato e presentato per l’approvazione definitiva. A fronte di una interpretazione estensiva del piano, che prevedeva nuove zone di espansione edilizia, vincoli di vietata costruzione, nuove strade ed ulteriori demolizioni, un vecchio articolo giornalistico (3 luglio 1955), scritto da Francesco Nalli,  corrispondente locale di un noto quotidiano, faceva notare che la legge in vigore “chiarisce senza possibilità di equivoci la natura dei Piani di Ricostruzione, che hanno essenzialmente lo scopo del ripristino dell’abitato”, e quindi non di un vero e proprio Piano Regolatore, “ma di un piano, dunque, che vuole la ricostruzione della preesistente entità dell’agglomerato urbano”, nel caso di Ceprano lo scopo doveva essere dunque il ripristino dei fabbricati distrutti dalla guerra nel centro storico.

Appello inascoltato. Questo episodio può essere considerato l’inizio dell’abbandono della città vecchia, di cui ancora oggi viviamo le conseguenze; così, tranne rarissimi casi, il centro storico perdeva ogni riferimento culturale medievale, vuoi per le distruzioni conseguenti agli eventi bellici, vuoi per l’incuria ed il disinteresse di molti. Il nucleo antico veniva così svuotato di buona parte delle residenze, e a partire dalla fine degli anni ‘70 si dava corpo alle previsioni del piano urbanistico generale nei nuovi quartieri al di là dell’autostrada e della Casilina. Iniziava così la dispersione, oggi timidamente contrastata da alcuni interventi di recupero edilizio nel centro storico*.

Il progetto preliminare della nuova chiesa fu redatto, come già detto, dallo Studio Mario Paniconi & Giulio Pediconi di Roma su incarico ricevuto nel 1950 dall’Ente per la Ricostruzione degli Edifici Ecclesiastici devastati dalla guerra (E.R.E.E.). Nell’ottobre del 1961, alcune comunicazioni intercorse tra il parroco di Ceprano Don Umberto Baffi, il Vescovo di Veroli Mons. Carlo Livraghi e lo studio romano Paniconi-Pediconi, ci narrano dell’interruzione bonaria del rapporto professionale, per la volontà del parroco di voler apportare modifiche sostanziali al progetto preliminare su proposta di un tecnico locale, e la conseguente indisponibilità dello studio romano a firmare tale rielaborazione.

La facciata della nuova chiesa secondo il progetto preliminare
dello studio romano Pediconi-Paniconi

Trascorsi oltre dieci anni dall’inizio del percorso amministrativo, il progetto architettonico esecutivo fu quindi affidato all’arch. Giorgio Cagnacci, con studio in Roma, che lo eseguì apportando importanti varianti allo schema dell’edificio, pur confermando, con poche modifiche, la scelta architettonica della facciata così come l’avevano ideata gli architetti Paniconi e Pediconi.

La facciata della nuova chiesa secondo il progetto esecutivo

L’edificio ultimato fu consacrato nel 1969 dal monsignor Giuseppe Marafini, gerente della Diocesi di Frosinone: il giorno dell’inaugurazione era papa Paolo VI, parroco Don Umberto Baffi e Sindaco Luigi Corsetti. La lunga attesa dei cepranesi “ansiosi” di avere la nuova chiesa, protrattasi dal 1950 al 1969, era stata ben ricompensata.

Ceprano, aprile 2024 (per gli 80 anni dalla distruzione della chiesa cinquecentesca)


-Per approfondimenti e tanto altro: Aldo Cagnacci, La nuova chiesa di san Rocco, in Storie di Ceprano. Archeologia, Ferrovia e Memorie Urbane (Ceprano, 2020), saggio miscellaneo con scritti di Pier Giorgio Monti, Francesco Arcese, Aldo Cagnacci, Rocco Cassandri e Mauro Martini.

-Abbiamo scritto:

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*SULL’ORLO DEI VUOTI. Dall’appello inascoltato ai giorni d’oggi

Nel 2004, dieci anni dopo l’approvazione del Piano Particolareggiato del Centro Storico, un evento storico-letterario veniva a segnare i sessanta anni dalla liberazione della nostra città. A presentare il libro, “Ceprano 1944-2004 la Guerra in Casa, il Percorso della Memoria” dell’Associazione Historia, fu il Sindaco Giuseppe Bernardi, che scrisse a proposito delle distruzioni causate nella città vecchia dai bombardamenti poco precisi effettuati dai velivoli americani, e dei vuoti fisici e sociali prodotti: “Sarebbe già tanto se riuscissimo a spiegare ai nostri figli che piazza San Francesco e Colle Uccelli non sono stati sempre un parcheggio, ma sono i vuoti prodotti dalle bombe di quegli anni, che la piazza principale era in parte occupata dalla chiesa di San Rocco, di cui non è rimasta traccia, così come la passeggiata che si affaccia sul fiume, una volta disegnata da un blocco di edifici cancellati insieme a parte dei loro occupanti, dai micidiali ordigni che cercavano il ponte sul Liri, puntualmente mancato. Dovremmo riconoscere meglio i segni esteriori della guerra per trovare la forza di cancellarli…”. Poche parole, come era nel suo stile, per reclamare un nuovo percorso nella storia di questa città, per indicare a se stesso, il Sindaco, le cose da fare, il piano da realizzare: riconoscere e riempire di contenuti quegli spazi.

Poi, anche lui, s’è fermato sull’orlo.

Pieni e vuoti

Non che sia secondario procedere a risanare le architetture esistenti sui perimetri dei vuoti, è solo che non basta se vuoi parlare di città.

Il Piano Particolareggiato del Centro Storico, tra le tante attenzioni a come riusare, ristrutturare e conservare i singoli edifici, aveva anche la grande missione di “riqualificare gli ambiti urbani oggi degradati ed in specie quelli derivanti dalle demolizioni belliche e post-belliche ricorrendo anche ad interventi di reintegrazione edilizia”. Diciamocelo chiaramente, un programma nato e cresciuto a metà degli anni ’80 per accontentare il partito comunista, che in queste cose era forte, vedi le buone esperienze emiliane. Un piano rimasto praticamente lettera morta, mentre sull’altro fronte c’era chi giocava sul serio sulle faccende urbane. Il blocco democristiano-socialista, che portava avanti operazioni di sviluppo in territori nuovi esterni alla città, produceva a raffica: due grandi piani particolareggiati per l’edilizia sociale  ad uso di future centinaia di famiglie in zona Montecitorio e Chiusa Grande, oggi fermi a pochi dormitori senza gli spazi pubblici pure previsti, un piano particolareggiato (rimasto sulla carta) per un nuovo centro sportivo con uno stadio che Roma ci avrebbe invidiato; poi acquedotti, fognature e soprattutto illuminazione pubblica (anche virtuale) fino ai confini della realtà urbana; infine si faceva pure imporre un piano di area di sviluppo industriale senza limiti.

Il centro urbano e la città vecchia? Il Centro sociale, il Giardino all’italiana, la Scuola materna, gli Alloggi parcheggio ed il Mercatino rionale coperto? previsti per riqualificare l’ambito urbano, per riempire di spazi e servizi pubblici le aree di risulta delle demolizioni belliche e post-belliche, sono tutti in attesa di attuazione. Vuoti da rendere alla città, pieni.

Ma l’intuizione più felice dei progettisti del Piano del Centro Storico è quella di aver ipotizzato l’eliminazione totale delle auto e la realizzazione di una infrastruttura pedonale interna che, partendo da Piazza Cavour, segue Vicolo Giacomo Leopardi, taglia trasversalmente tutti gli spazi pubblici interni descritti poc’anzi, raggiunge ed attraversa Piazza Colle Uccelli, taglia via Principe Amedeo per finire in via Vittorio Alfieri, utilizzando varchi privati esistenti e prevedendo l’apertura di nuovi passaggi pedonali sotto gli edifici. Tutto da fare.

Dobbiamo solo dire grazie alla caparbietà di alcuni amministratori locali se negli ultimi 20 anni, pur tra tante difficoltà, sono partiti alcuni interventi di recupero di edifici pubblici nella città vecchia.

Poco, ma un buon segnale, per la ‘città futura’.

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